In tutti i Paesi le caratteristiche dei materiali che entrano a far parte di una sovrastruttura e cioè gli aggregati e i leganti, sono oggetto di normalizzazioni che ne stabiliscono i requisiti di idoneità all’impiego. In Italia le norme che riguardano gli aggregati sono:
– La norma C.N.R. UNI 10006 sulla tecnica di impiego delle terre che tratta degli aggregati impiegati negli strati di fondazione e di base e cioè i misti granulari e le terre stabilizzate.
– La norma C.N.R. fasc. 4/1953 per l’accettazione dei pietrischi, dei pietrischetti, delle graniglie, delle sabbie e degli additivi per costruzioni stradali, che riguarda gli aggregati impiegati nelle pavimentazioni in conglomerato bituminoso ed in calcestruzzo.
– La norma C.N.R. fasc. 5/1954 per l’accettazione di cubetti in pietra per pavimentazioni stradali.
– La norma C.N.R. fasc. 6/1956 per l’accettazione delle polveri di rocce asfaltiche.
Le norme che riguardano i leganti idrocarburati sono:
– La norma C.N.R. fasc. 1/1951 per l’accettazione dei catrami per usi stradali.
– La norma C.N.R. n. 24/1971 per l’accettazione dei bitumi per usi stradali.
– La norma C.N.R. fasc. 3/1958 per l’accettazione delle emulsioni.
– La norma C.N.R. fasc. 7/1957 per l’accettazione dei bitumi liquidi.
– Varie nonne C.N.R. sulle modalità di prova.
Per i conglomerati bituminosi ci si riferisce quasi esclusivamente a Capitolati speciali.
Fa riferimento agli aggregati lapidei di frantumazione, alle sabbie, sia naturali sia di frantumazione, all’additivo. Il primo capitolo contiene i requisiti per la caratterizzazione e per l’accettazione. Gli aggregati vengono divisi e denominati in base alla pezzatura normale, indicando l’apertura dei crivelli (o setacci se di dimensioni inferiori ai 2 mm) ai quali il materiale è rispettivamente trattenuto o passante. Vengono altresì indicate le relative tolleranze. Vi sono poi dei requisiti di caratterizzazione ed accettazione generici (forma, presenza di impurità, porosità), altri di resistenza fisico-meccanica (che consentono di suddividere i pietrischi in 3 classi ed i pietrischi e le graniglie in 6 classi); per ogni classe la Norma stabilisce infine, a puro titolo indicativo, il campo di impiego. Le modalità di prelievo per i campioni di aggregato, da sottoporre a prove di laboratorio dovranno essere quelle indicate dalle Norme CNR 93/1983.
Negli impieghi il bitume viene adoperato allo stato solido, liquido oppure sotto forma di emulsione. Le norme così definiscono tali leganti:
– I bitumi solidi sono miscele di idrocarburi e loro derivati non metallici, completamente solubili in solfuro di carbonio dotati di capacità leganti. Tali bitumi si contraddistinguono con la lettera B seguita dal valore della penetrazione.
– I bitumi liquidi sono quelli che, per la presenza in essi di oli provenienti dal petrolio o dal catrame di carbon fossile destinato ad evaporare dopo l’applicazione, possiedono una fluidità nettamente maggiore dei bitumi solidi. Si contraddistinguono con la lettera BL seguita dal numero che esprime la viscosità Redwood.
– Le emulsioni si definiscono come dispersioni di bitume in acqua o di acqua in bitume. La classificazione è fatta con riferimento al contenuto di bitume puro e alla velocità di rottura delle emulsioni stesse.
In ogni caso il legante è sempre costituito dal bitume e la presenza di solventi o la preparazione in emulsione hanno lo scopo di ridurre o eliminare il riscaldamento necessario al bitume normale per variarne la consistenza e la viscosità.
Tutte le norme sui leganti bituminosi sono basate su una serie di prove tecnologiche tendenti ad accertarne la conformità con quelle normalizzate. Le norme danno inoltre le indicazioni necessarie per il prelevamento dei campioni e la esecuzione della campionatura.
C. LA NORMATIVA SUI CONGLOMERATI BITUMINOSI
In genere ogni miscela di aggregato litico e bitume costituisce un conglomerato bituminoso, ma nella pratica con tale termine si intendono le miscele aggregato-bitume preparate a caldo, mentre le miscele preparate a freddo rientrano in altri tipi di strutture bituminose come le miscele in posto o le stabilizzazioni. Mentre per gli elementi che compongono il conglomerato esistono delle norme di accettazione a validità generale, la stessa cosa non è vera per il prodotto finale; ciò a causa della molteplicità di funzioni a cui deve assolvere e delle diverse condizioni ambientali in cui è realizzato. Le caratteristiche dei conglomerati (composizione e prestazioni) sono pertanto descritte in appositi Capitolati Speciali di varie Amministrazioni appaltanti. In linea di massima vengono prescritte le qualità delle materie prime (aggregati e leganti), le dosature dei componenti (variabili da un minimo ad un massimo), le prestazioni del conglomerato risultante (stabilità e scorrimento Marshall, percentuale dei vuoti della miscela costipata) e le caratteristiche della sovrastruttura risultante (spessori degli strati e valutazioni delle irregolarità di superficie). Di seguito vengono riportate le principali prove prescritte dalle normative e dalla maggioranza dei capitolati per la progettazione e per il controllo di miscele bituminose destinate a costituire la sovrastruttura stradale.
Scopo:
Permette di individuare la dimensione dei grani. In genere viene espressa come percentuale in peso (rispetto al totale) del trattenuto o del passante ai vari setacci e/o crivelli standard (UNI o ASTM).
Metodica:
Norma CNR fase. 4/1953 per l’accettazione dei pietrischi, pietrischetti, graniglie, sabbie e additivi per costruzioni stradali.
Scopo:
Rappresenta il rapporto tra il volume dei vuoti ed il volume della materia solida. Permette di stabilire la forma dei grani.
Metodica:
Norma CNR 65-1978.
Il calcolo dell’indice dei vuoti viene effettuato determinando preventivamente il peso specifico reale del materiale litico (Pr) ed il peso del volume dell’insieme dei grani che costituiscono la pezzatura (P) con la formula e = (Pr P)/P. Deve risultare minore od uguale ad uno.
Scopo:
Rappresenta il peso di volume del materiale ridotto in polvere. Permette di calcolare l’indice dei vuoti.
Metodica:
La determinazione si esegue, previa riduzione in polvere dell’aggregato, pesando in aria ed in acqua (con picnometro) il campione per ricavarne il peso ed il volume.
Come per il peso specifico reale senza ridurre in polvere il materiale.
Scopo:
Rappresenta il peso dell’unità di volume della pezzatura comprensivo dei vuoti intergranulari. Permette di calcolare l’indice dei vuoti.
Metodica:
Si determina assoggettando il materiale ad adeguato costipamento standardizzato su tavola a scosse entro uno stampo troncoconico.
Scopo:
Permette di stabilire se la pezzatura in esame possiede sostanze limo-argillose, sostanze organiche o particolari sali minerali. A seconda dell’impiego cui sono destinati gli aggregati, avrà maggiore o minore importanza la presenza dell’una o dell’altra impurità. Per conglomerati bituminosi a caldo la presenza di una certa quantità di sostanze organiche può non essere dannosa quanto la presenza di impurità di tipo argilloso poiché le prime vengono bruciate passando attraverso l’essiccatore a caldo, mentre le seconde, ricoprendo la superficie degli aggregati, possono impedire l’adesione del bitume. Per conglomerati cementizi invece sono nocive sia la presenza di impurità limoa-argillose (che impediscono l’adesione della pasta di cemento ai grani) sia la presenza di sostanze organiche e di sali minerali (solfati) che alterano o impediscono il fenomeno di presa ed indurimento del cemento. Le impurità vengono determinate con la prova di decantazione e la prova colorimetrica.
Metodica:
Prova di decantazione: consiste nell’agitare in acqua una certa quantità di aggregato di cui si sia determinato preventivamente il peso secco, nel lasciare sedimentare la sospensione per un tempo prestabilito e nel decantare l’acqua di lavaggio, ripetendo l’operazione fino a che questa non risulti limpida, nell’essiccare il materiale lavato e nel determinare la perdita in peso subita, espressa come percentuale del peso iniziale. La norma richiede che i pietrischi, i pietrischetti e le graniglie non subiscano perdita maggiore dell’1 % e le sabbie una perdita maggiore dei 2%.
Prova colorimetrica: per la determinazione delle sostanze organiche la prova si esegue agitando il campione con una sostanza titolata di idrossido di sodio e confrontando il colore assunto del liquido dopo 24 ore con il colore di una soluzione di riferimento. Il materiale è accettato se il liquido non assume un colore più scuro della soluzione di riferimento
Scopo:
Escludere l’impiego di materiali litici porosi che possono assorbire acqua e legante (bituminoso).
Metodica:
Può determinarsi con misura di porosità o di coefficiente di imbibizione.
Porosità: essendo definita come il rapporto fra il volume dei vuoti contenuti in un elemento litico ed il suo volume totale, viene determinata dividendo la differenza tra il peso specifico reale Pr ed il peso specifico dei grani Ps per il peso specifico reale Pr ed esprimendo il rapporto sotto forma percentuale [v = 100 (Pr Ps) / Pr]. La porosità tiene conto di tutti i vuoti endogranulari cioè sia di quelli in comunicazione con l’esterno (vuoti permeabili) sia di quelli non in comunicazione con l’esterno (vuoti impermeabili).
Coefficiente di imbibizione: è definito come il rapporto fra l’aumento di peso che un provino essiccato subisce in seguito ad immersione in acqua distillata fino a completa saturazione, ed il peso del provino stesso. Tiene conto dei soli vuoti permeabili.
Scopo:
Permette di stabilire se il materiale litico possiede una affinità superficiale per l’acqua maggiore che per il bitume. Ciò è particolarmente dannoso per i conglomerati bituminosi degli strati di usura e dei trattamenti superficiali per la conseguenza che in presenza di acqua l’aggregato tende a spogliarsi del bitume ed a staccarsi.
Metodica:
L’idrofilia di determina misurando la perdita di peso accusata da inerte bitumato a caldo in laboratorio sommerso in acqua distillata, ed assoggettato a scuotimento per un tempo prestabilito. Contemporaneamente una certa quantità di inerte bitumato viene sottoposto ad osservazione visuale diretta mentre si trova immerso in acqua, per apprezzare la percentuale di superficie di aggregato che si spoglia del bitume. Il materiale è idrofilo (quindi inutilizzabile) se la perdita in peso riscontrata nella prova di scuotimento supera lo 0,7 % del peso originario dell’inerte bitumato.
1.9 Coefficiente di qualità Deval
Scopo:
Determinare il consumo convenzionale del pietrisco per sfregamento degli elementi fra di loro e contemporaneamente contro le pareti in ferro di un cilindro.
Metodica:
Circa 50 elementi di pietrisco, di dimensioni intorno ai 50 mm, vengono posti in un cilindro di ferro o ghisa che ruota per 10.000 giri intorno ad un asse inclinato di 30 gradi su quello proprio. Il materiale dopo la prova viene setacciato al vaglio da 1,5 mm, lavato ed essiccato. La differenza in peso, rispetto al materiale primitivo, rappresenta il consumo C che viene espresso quale percentuale in peso del pietrisco originale. Il rapporto fra il numero fisso 40 e tale percentuale individua il coefficiente Deval.
Scopo:
Simile al coefficiente Deval con l’aggiunta di un ulteriore consumo dovuto ad urto con sfere dl acciaio.
Metodica:
Norma CNR n. 34-1973. Cinque kg di materiale asciutto del diametro massimo di 38 oppure 19 mm, vengono introdotti nel recipiente insieme a sfere di acciaio di diametro e peso stabilito. Dopo 500 rivoluzioni il materiale viene estratto e classificato col setaccio da 1.68 mm. Il peso del passante, espresso in percentuale, costituisce quella che viene chiamata la percentuale di usura.
1.11 Coefficiente di frantumazione
Scopo:
Determinare se il materiale lapideo si frantuma eccessivamente sotto il passaggio di una ruota metallica conducendo a conglomerati bituminosi che col tempo diventano sdrucciolevoli.
Metodica:
Norma CNR fasc. 4/1953. 1 coefficiente esprime il cambiamento di granulometria che 0,5 kg di materiale disposto su un piano metallico subisce per effetto del passaggio ripetuto di una ruota metallica di peso determinato. Tanto più frantumabile è il materiale tanto più fino viene prodotto e tanto più elevato è di conseguenza il coefficiente di frantumazione.
2. PROVE SU LEGANTI BITUMINOSI
Scopo:
Individua convenzionalmente la viscosità del bitume a temperatura ambiente (25C).
Metodica:
Norma CNR 24-1971. Si determina la profondità di affondamento (espressa in decimi di millimetro) di un ago standardizzato sotto l’azione di un carico costante (100 g) per un intervallo di tempo prestabilito (5 sec.).
2.1.2 Punto di rammollimento (palla e anello)
Scopo:
Serve ad individuare la temperatura a cui il bitume passa convenzionalmente dallo stato solido allo stato quasi-liquido.
Metodica:
CNR n. 35-1973. Si determina la temperatura in corrispondenza della quale il bitume contenuto in un anello, sul quale è posta una sferetta di acciaio, si rammollisce al punto da non poter più sostenere il peso della sferetta lasciandola cadere.
Scopo:
Costituisce una indicazione convenzionale del comportamento del bitume alle basse temperature; in particolare individua la fragilità a bassa temperatura di una sottile pellicola di bitume stesa su di una piastrina metallica.
Metodica:
CNR n. 43-1974. Si assoggetta a flessione la piastrina, con steso il bitume, contenuta in un recipiente a pareti trasparenti nel quale si fa scendere la temperatura a velocità costante, e si determina la temperatura in corrispondenza della quale appare la prima screpolatura.
Scopo:
Un materiale quando è assoggettato ad uno sforzo di trazione si allunga anziché rompersi; per i bitumi la duttilità e molto importante perché assicura che sotto le sollecitazioni dovute al traffico il bitume si deformi e non si fessuri.
Metodica:
CNR n. 44-1974. Si esegue con il duttilometro ed esprime la lunghezza in cm raggiunta prima di rompersi da un provino di bitume stirato meccanicamente a temperatura e velocità costante.
2.1.5 Solubilità in solfuro di carbonio
Scopo:
Tende ad accertare le impurità del bitume.
Metodica:
CNR n. 48-1975.
Scopo:
Serve a determinare la perdita delle sostanze volatili ad alta temperatura fornendo una indicazione del processo di indurimento che subisce il bitume per effetto del riscaldamento. Dopo la prova vanno eseguite le prove di penetrazione e rottura.
Metodica:
CNR n. 50-1976 – n. 54-1977.
Scopo:
Serve a stabilire la percentuale massima di paraffina che nuoce alla duttilità, alla adesività, e alla emulsionabilità dei bitumi.
Metodica:
CNR n. 66-1978. Il campione di bitume viene dapprima sottoposto a distillazione distruttiva; poi il distillato viene sciolto in parti uguali di alcool e di etere solforico; quindi la soluzione viene portata a – 20 °C. La paraffina che si separa a questa temperatura è quella cercata e ritenuta nociva.
Scopo:
Determina la adesività del bitume a pietre
prototipi delle rocce idrofili ed idrofobe.
Metodica:
CNR fase. 2. Si determina lo sforzo in kg/cm2 che occorre per strappare a 20 °C una pellicola di 80 micron di bitume fatta aderire alle facce di due parallelepipedi di granito di S. Fedelino e di marmo statuario di Carrara. Per ogni prova si richiedono dieci coppie di provini.
Scopo:
Determinare la consistenza del bitume liquido a temperatura ambiente.
Metodica:
CNR fase. 7. Si misura il tempo in secondi che un determinato volume di liquido impiega a defluire da uno speciale tubo.
2.2.2 Punto di infiammabilità in vaso aperto
Scopo:
I bitumi liquidi sono infiammabili, e le loro frazioni leggere quando evaporano e si mescolano con l’aria possono formare piccole miscele esplosive. Se la temperatura di riscaldamento è elevata, si devono perciò prendere speciali precauzioni soprattutto per i tipi a rapido e a medio indurimento.
Metodica:
CNR n. 72-1979. Il punto di accensione è la temperatura minima alla quale il legante, durante il riscaldamento, può produrre vapori che si accendono al contatto di una piccola fiamma. Si usa l’apparecchio di Marcusson.
2.2.3 Distillazione frazionata
Scopo:
Bitumi liquidi di uguale viscosità possono avere composizioni e quindi comportamento molto diverso. La diversa composizione viene messa in evidenza con le frazioni che distillano a certe temperature e con la consistenza del residuo; le temperature che si considerano per i bitumi liquidi a medio e rapido indurimento sono quelle di 225, 260, 315 e 360 °C.
Metodica:
CNR fasc. 7.
Scopo:
Sul residuo della distillazione dei bitumi liquidi spinta sino a 360 ‘C, si eseguono le prove di penetrazione, rammollimento solubilità in solfuro di carbonio e adesività a pietre.
Scopo:
Si determinano le percentuali di bitume di emulsivo secco e di acqua.
Metodica:
CNR fasc. 3.
Scopo:
Misura la consistenza dell’emulsione paragonandola alla consistenza di un liquido noto (acqua).
Metodica:
La viscosità Engler è il rapporto fra i secondi che occorrono ad un noto volume di emulsione per defluire ad una certa temperatura da un tubo di determinate dimensioni, ed i secondi che occorrono ad un ugual volume di acqua per defluire nelle stesse condizioni.
Scopo:
Accertare che l’emulsione sia omogenea e che non contenga grumi che in cantiere possano ostruire i fori degli spruzzatori.
Metodica:
La prova si conduce determinando il peso del residuo che si ottiene con speciali modalità agitando l00 g di emulsione con uno speciale cestello cilindrico in tela di ottone 0,18 UNI 2331.
Scopo:
Serve per accertare che l’acqua contenuta non si separi mai in quantità eccessiva; è ammessa comunque una certa sedimentazione ‘n quanto è sufficiente in genere un rimescola mento perché l’emulsione tomi omogenea.
Scopo:
Serve per stabilire la stabilità nel tempo e al gelo; quest’ultima ha importanza soltanto se l’emulsione deve essere immagazzinata o impiegata nella stagione fredda. La stabilità nel tempo serve a prevedere il comportamento dell’emulsione nel caso in cui non venga impiegata subito dopo la fabbricazione.
Metodica:
Per la stabilità nel tempo occorre eseguire due prove di omogeneità a 7 giorni e a 2 mesi; il controllo è positivo se i residui a 7 g e a 2 mesi risultato inferiori allo 0, 1 % e 0,6 %. La stabilità al gelo si determina anch’essa con due prove, ma raffreddando l’emulsione, dopo la prima filtrazione sino a – 24 ‘C e tenendola a questa temperatura per mezz’ora; con la seconda filtrazione, se l’emulsione è stabile al gelo, il residuo non deve superare lo 0,5%.
Sono previste sul bitume estratto dall’emulsione le prove di penetrazione, duttilità solubilità in solfuro di carbonio punto di rammollimento e punto di rottura.
3. PROVE SU CONGLOMERATI BITUMINOSI
3.1 Determinazione della composizione
Scopo:
Accertare la percentuale di bitume e di filler e la curva granulometrica dell’aggregato estratto. Ciò permette di verificare il progetto o in capitolato.
Metodica:
I campioni sono rappresentati da conglomerati prelevati allo stato sfuso alla stesa o prelevati da strato costipato mediante carotaggio. In laboratorio un provino rappresentativo del campione viene inserito in un estrattore contenente solvente che separa il bitume dall’aggregato a caldo. Centrifugando il bitume estratto si riesce a separare il filler dal bitume stesso per cui sarà possibile ricavare le percentuali dei componenti (bitume e filler) ed eseguire la granulometria dell’inerte estratto.
3.2 Stabilità e scorrimento Marshall
Scopo:
Permette di determinare empiricamente le prestazioni di miscele bituminose confezionate a caldo.
Metodica:
CNR n. 30-15/03/1973. La prova si esegue su 4 provini cilindrici che vengono schiacciati in direzione normale alle generatrici dei cilindri fra due ganasce metalliche che ne abbracciano parzialmente la superficie laterale. I provini vengono confezionati in laboratorio od in situ entro appositi stampi con pestello standardizzato assestando 50 o 75 colpi su ciascuna faccia del provino. I campioni vengono provati a 60 °C per ricreare le condizioni che possono verificarsi sulle strade in estate in climi normali. Contemporaneamente al carico di rottura (stabilità) si determina anche la deformazione che il provino ha subito durante la prova (scorrimento).
È il rapporto tra la stabilità espressa in kg e lo scorrimento espresso in mm.
Scopo:
Determina il grado di costipamento raggiunto in situ (su carote) o il grado di costipamento massimo raggiungibile in laboratorio su provini Marshall.
Metodica:
Norme CNR 39/1973 su provini Marshall norma CNR 40/1973 su carote. I campioni vengono sottoposti alla determinazione del peso di volume (mediante pesata idrostatica) e della densità massima teorica ricavabile quest’ultima con procedure simile alla determinazione di un peso specifico (Ricés Method ASTM D204 1) o con il calcolo quando si conoscano le percentuali dei componenti e i rispettivi pesi specifici assoluti.
3.4 Studio di ottimizzazione (metodo Marshall)
Scopo:
Permette di ottimizzare la ricetta di impasto del conglomerato in funzione delle prescrizioni di capitolato ricercando la percentuale minima di impiego di legante che garantisca il raggiungimento di tutte le altre prescrizioni.
Metodica:
In funzione del fuso granulometrico previsto in capitolato vengono ottimizzate le delle pezzature disponibili (con l’impiego di computer). Si confezionano poi 5-6 serie di provini Marshall (4 campioni a serie) con percentuali crescenti di bitume (dal minimo al massimo previsto in capitolato) differenti tra loro dello 0,50 e si assoggettano alle prove di percentuale dei vuoti, peso di volume e prove di stabilità Marshall determinandone i valori medi per ogni percentuale di bitume impiegata. Graficizzando, in funzione delle percentuali di bitume, la stabilità, lo scorrimento, la densità, la percentuale dei vuoti residui si potrà determinare la percentuale di bitume che mediamente, soddisfa a tutte le prescrizioni del capitolato. Lo studio è di estrema utilità perché permette, a differenza di studi basati su sistemi empirici, di ottimizzare effettivamente l’uso dei componenti non trascurando l’aspetto economico. Durante le fasi di stesa e costipamento si potrà altresì controllare con prelievi e carotaggi, che le prestazioni raggiunte in fase di studio siano raggiunte in idonea percentuale (in genere prescritta nei capitolati).
3.5 Deflessione pavimentazioni
Scopo:
Misurare la deflessione che subisce una pavimentazione flessibile (in conglomerato bituminoso) sotto l’azione di carichi volventi (rotolanti).
Metodica:
Si utilizza la trave Benkelman piazzandola fra i pneumatici del veicolo di prova a contatto con la superficie. La deflessione è misurata quando il veicolo passa sopra la zona di prova.
Prelievi di campioni alla stesa, controlli di temperatura agli impianti e alla stesa, prove Marshall in situ (confezionamento campioni), carotaggi di strati già costipati, verifica di spessori.
4. CONGLOMERATI BITUMINOSI A CALDO RIGENERATI IN IMPIANTI SEMOVENTI
I conglomerati bituminosi rigenerati in impianto semovente, così come risulta dalla Circolare n. 24/85 del 14-5-1985 della Direzione Generale dell’A.N.A.S. ad integrazione del Capitolato Speciale di Appalto ed. 1984, sono costituiti da misti granulari composti da conglomerati preesistenti frantumati, inerti nuovi, aggiunti in proporzioni e tipo variabili a seconda della natura del conglomerato (base, binder, usura) che si deve ottenere, impastati a caldo con bitume, al quale viene aggiunto un idoneo prodotto di natura aromatica, che rigeneri le proprietà del legante contenuto nelle miscele bituminose preesistenti. La messa in opera avviene con sistemi tradizionali, tramite trasferimento diretto del prodotto finito dall’impianto alla vibrofinitrice. Il conglomerato preesistente proviene in genere dalla frantumazione, direttamente dalla sua primitiva posizione, con macchine fresatrici a freddo.
4.2 Materiali inerti e legante
Le % minime del materiale inerte da riutilizzare non dovranno essere inferiori all’80%. Il restante materiale dovrà essere costituito da nuovi inerti, aventi i requisiti di accettazione previsti per i conglomerati normali. Il legante sarà costituito da quello presente nel materiale fresato integrato da nuovo bitume, attivato con i rigeneranti-fluidificanti in maniera da ottenere adeguati valori di viscosità e di adesione.
La granulometria della miscela dovrà corrispondere ai normali fusi prescritti dai Capitolati per il tipo di conglomerato che si intende realizzare (base, binder, usura). Le % di bitume e di rigenerante sono determinate nella seguente maniera:
% tot. bitume: Pt = 0.035 x a + 0.045 x b + c x d + f
ove:
Pt: % di bitume in peso sul conglomerato
a: % di aggregato trattenuto al n. 8 (ASTM 2.38 mm);
b: % di aggregato passante al n. 8 e trattenuto al n. 200 (0.074 mm);
c: % di aggregato passante al n. 200;
d: 0.15 se il passante al n. 200 è compreso tra 1l e 15;
0.20 se il passante al n. 200 è minore o uguale a 5;
f:: compreso fra 0.7 e 1 in funzione dell’assorbimento degli inerti.
La % rispetto al totale degli inerti di nuovo legante sarà pari a:
Pn = Pt – (Pv x Pr)
in cui:
Pv = % bitume preesistente.
Pr = % di materiale riciclato.
La natura del legante nuovo da aggiungere sarà determinata in base alla considerazione che la viscosità del legante totale a 60 gC non superi il valore di 4000 poise. La % di rigenerante è ricavabile una volta costruito un diagramma sperimentale Viscosità % di rigenerante determinato con almeno tre punti misurati (K, M, F):
K: Viscosità della miscela bitume estratto più bitume aggiunto nelle proporzioni determinate come sopra senza rigenerante;
M: Viscosità della miscela bitume estratto Più bitume aggiunto in cui una parte del bitume nuovo è sostituita dall’agente rigenerante in misura del 10% in peso rispetto al bitume aggiunto.
F: Viscosità della miscela simile alle precedenti in cui una parte del bitume nuovo è sostituita dall’agente rigenerante nella misura del 20% in peso rispetto al bitume aggiunto.
Da tale diagramma è possibile dedurre, per interpolazione lineare alla viscosità di 2000 poise la % di rigenerante necessaria.
Circa i requisiti di adesione della nuova miscela di bitume più rigenerato essa non dovrà essere inferiore a quella su bitume nuovo eseguita con il metodo Vialit proposto da “Point et Chausses”. Le. prestazioni in termini di stabilità Marshall e % dei vuoti nonché tutti gli altri requisiti di accettazione rimangono inalterate rispetto ai conglomerati tradizionali.
4.4 Prove preliminari e di controllo
Prima di procedere al riciclaggio dei conglomerati bituminosi costituenti le esistenti pavimentazioni, sarà necessario provvedere alla esecuzione di prove preliminari tendenti all’accertamento delle caratteristiche dei conglomerati esistenti nonché dalla determinazione delle correzioni in bitume, rigeneranti e inerti vergini, necessarie per conferire ai conglomerati rigenerati le caratteristiche prescritte dai Capitolati.
In genere esse consistono in:
– campagna di carotaggio (ogni 300-500 ml.) nei vari strati interessati dall’intervento per l’individuazione delle zone con pavimentazione uniforme per spessore e caratteristiche;
– estrazione del bitume per prove qualitative, in particolare per la determinazione della viscosità a 60 gC;
– analisi granulometrica, % di legante e peso di volume per ogni strato;
– prove di Creep su tasselli ottenuti da carote a 10 gC e 40 gC;
– studio di formulazione delle miscele.
Nella fase di esecuzione dei lavori dovranno essere eseguiti controlli con cadenza giornaliera tendenti ad accertare la rispondenza agli studi di formulazione, della rispondenza granulometrica dopo riciclaggio, del contenuto di legante e del peso di volume. Inoltre dovranno essere controllate le caratteristiche del bitume dopo rigenerazione e dovranno essere eseguite le prove di creep sui conglomerati rigenerati in numero adeguato in funzione della lunghezza dei tratti con pavimentazione uniforme.
C. LA NORMATIVA SUI CONGLOMERATI BITUMINOSI
1.1 Analisi granulometrica
1.2 Indice dei vuoti
1.3 Peso specifico reale
1.4 Peso specifico dei grani
1.5 Peso di volume
1.6 Impurità
1.7 Porosità
1.8 Idrofilia
1.9 Coefficiente di qualità Deval
1.10 Prova Los Angeles
1.11 Coefficiente di frantumazione
(L’istituto, nell’ambito della Marcatura CE degli aggregati, è Organismo Notificato di Certificazione ed Ispezione – Sistema di Attestazione 2+.)
2. PROVE SU LEGANTI BITUMINOSI
2.1.2 Punto di rammollimento (palla e anello)
2.1.3 Punto di rottura
2.1.4 Duttilità
2.1.5 Solubilità in solfuro di carbonio
2.1.6 Volatilità
2.1.7 Contenuto di paraffina
2.1.8 Adesione a pietre
2.2.2 Punto di infiammabilità in vaso aperto
2.2.3 Distillazione frazionata
2.2.4 Prove sul residuo
2.3.2 Viscosità Engler
2.3.3 Omogeneità
2.3.4 Sedimentazione
2.3.5 Stabilità
2.3.6 Altre prove
3. PROVE SU CONGLOMERATI BITUMINOSI
3.1 Determinazione della composizione
3.2 Stabilità e scorrimento Marshall
3.4 Studio di ottimizzazione (metodo Marshall)
3.5 Deflessione pavimentazioni
3.6 Prove di cantiere
4. CONGLOMERATI BITUMINOSI A CALDO RIGENERATI IN IMPIANTI SEMOVENTI
4.1 Descrizione
4.2 Materiali inerti e legante
4.3 Miscela
4.4 Prove preliminari e di controllo